Il contributo delle donne all’innovazione

Caterina Riva, Raffaella Marconi, Giovanna Gabetta, Fiorenza Scotti, Paola Urso

 

 

La disparità di genere nel settore scientifico è ben nota ed evidenziata da moltissimi studi indicatori. I dati più aggiornati riconfermano questa situazione pressoché immutata da anni che coinvolge, con differenti proporzioni, l’intero panorama europeo. Dalle prime pubblicazioni specifiche [1] alle statistiche più aggiornate, emergono dati preoccupanti. Il numero di donne scienziato è in aumento e le donne rappresentano oggi quasi il 50% delle risorse umane dell’intero settore scientifico, mostrando capacità e competenze spesso superiori a quelle dei colleghi di sesso maschile. Le donne, però, risultano ben rappresentate solo in alcuni campi della scienza, quali la biologia e la medicina, mentre restano escluse da altre discipline, considerate ancora appannaggio maschile.

Oltre alla discriminazione di tipo orizzontale, ci sono evidenti differenze dal punto di vista verticale. Per esempio le donne sono davvero assenti dalle commissioni decisionali, dai consigli di amministrazione o comunque dai ruoli e posizioni di alto livello [2].
Molti studi si possono consultare presso il sito ufficiale della CE dedicato alla questione di genere nello specifico settore della ricerca scientifica [3].

In alcuni portali Web si possono rintracciare i documenti pubblicati negli ultimi anni e che investono tanto l’ambito della ricerca pubblica, quanto il settore privato. Si rilevano anche dati in positivo, come la crescita significativa della percentuale di donne scienziate e ingegneri. Le impiegate in qualità di professioniste o le tecniche che abbiano concluso un percorso d’istruzione superiore di terzo livello attualmente superano del 2% le rispettive controparti maschili, ma realtà simili rappresentano piuttosto delle eccezioni e restano tuttora isolate rispetto il trend generale.

In questo contesto non va sottovalutato il costo derivante dal mancato utilizzo delle potenzialità femminili nel mondo della scienza [4]. Secondo alcuni studiosi di economia, infatti, il semplice aumento della partecipazione delle donne potrebbe contribuire significativamente a migliorare la situazione economica, soprattutto in Italia [5]. I paesi dove le donne partecipano meno al mercato del lavoro, infatti, sono quelli che otterrebbero dall’aumento dell’occupazione femminile un maggior vantaggio in termini di crescita del Prodotto Interno Lordo.



I nove comportamenti manageriali in grado di potenziale le performance aziendali, e la loro applicazione da parte di uomini e donne

 


Comportamento manageriale

Applicato di più dalle donne

Favorire lo sviluppo delle persone

Comunicare attese e ricompense

Essere modelli di ruolo

Applicato poco di più dalle donne

Suscitare ispirazione

Favorire coinvolgimento nelle decisioni

Applicato ugualmente da uomini e donne

Stimolazione intellettuale

Comunicazione efficace

Applicato di più dagli uomini

Decisioni prese individualmente

Controllo e azioni correttive


Due recenti studi condotti da McKinsey & Co. [6] supportano analiticamente questa ipotesi. Secondo il primo studio, le società a maggior presenza femminile ai livelli manageriali sono anche le aziende che hanno più successo e presentano migliori indici di performance. Il secondo studio identifica nove comportamenti-chiave, caratteristici del ruolo manageriale e in grado di migliorare le performance aziendali. Le manager donne adottano con maggiore frequenza dei colleghi uomini almeno cinque di questi nove comportamenti, schematizzati nella Tabella sopra riportata [7].

Purtroppo però, gli elementi riconosciuti dagli studi sono spesso lontani dall’essere applicati nella pratica delle aziende. Vediamo un esempio in particolare: “Bio to Bit” di STMicroelectronics. STMicroelectronics (www.st.com) è una grande impresa di semiconduttori con numerosi siti produttivi e centri di ricerca in Europa, Asia e Nord America. In Italia si trovano due tra i maggiori siti di produzione nell’area di Milano e a Catania, dove sono attivi anche gruppi di Ricerca e Sviluppo.

Tra Maggio 2007 e Aprile 2008 ST ha realizzato il programma “Bio to Bit” [8] Obiettivo del programma è stato l’individuazione di nuovi progetti per i mercati Health Care e Wellness, tentando di fare un salto qualitativo da componentista a sistemista. Il progetto poneva particolare attenzione ai percorsi di generazione dell’innovazione. Vogliamo analizzare la presenza e il ruolo delle ricercatrici nelle tre fasi del programma: reclutamento, sviluppo, legittimazione finale.

I criteri adottati nella fase di reclutamento dei volontari sono stati i seguenti: età (30-50 anni), anzianità aziendale (non meno di 3 anni), “alti potenziali”. Secondo dati recenti forniti dal Comitato Pari Opportunità aziendale si è visto che le assunzioni nel quinquennio 2003-2007 rispecchiano le percentuali di genere dei laureati dalle maggiori università per le facoltà di interesse (Ingegneria Elettronica, Fisica, Chimica). Sembra in altre parole che in azienda non esista discriminazione “in entrata” per le donne laureate in facoltà scientifiche.
Nel programma “Bio to Bit”, la percentuale di donne sia nel gruppo iniziale di potenziali candidati (400 persone) che in quello di aderenti all’iniziativa (40 persone) è stata attorno al 25%, in linea con la percentuale femminile in azienda, confermando la scelta equilibrata nella prima fase di reclutamento.

Il modello qui proposto si basa su più cicli di knowledge creation. Si generano, cioè, molte idee tra cui procederanno solo quelle che saranno in grado di evolvere, approdando a un nuovo business concept. Si adotta quindi un modello “evoluzionista”, eliminando tutte le procedure “esterne” di valutazione e selezione delle idee.

In questa fase centrale del progetto (la più estesa nel tempo) è stato possibile coinvolgere nuovi colleghi e risorse esterne (medici specialisti e/o ricercatori scientifici). La condivisione delle esperienze e l’interscambio tra le diverse mansioni aziendali è stata fondamentale per una corretta definizione della nuova piattaforma finale. 

In questo contesto di innovazione radicale, le donne hanno giocato un ruolo chiave grazie alla loro visione e alla capacità di ascolto. Hanno favorito la collaborazione tra gruppi e competenze molto diverse, riuscendo ad organizzare l’attività anche al di fuori di schemi gerarchici e organizzativi definiti. La loro percentuale all’interno del programma in questa fase sale dal 25 al 40%.
La fase di chiusura è risultata essere la più critica. Il progetto è terminato con la definizione di una nuova Business Unit (BU) che ha acquisito lo sviluppo di alcuni prototipi In questa fase sono sopravvissute solo le piattaforme che hanno saputo generare una progressiva legittimazione dell’idea innovativa e il consenso del Management indispensabile per accedere a future risorse.
Le modalità di creazione della nuova BU sono state poco trasparenti e basate su reti di alleanze strategiche antecedenti la partenza del programma stesso, oltre che sulla valutazione oggettiva del potenziale futuro business e dei costi/benefici delle diverse piattaforme tecnologiche proposte.

L’analisi della fase finale del programma indica che le donne ricercatrici devono attrezzarsi per non essere escluse e per non auto-escludersi (forse inconsapevolmente) dalla fase finale dei giochi, in cui si definiscono i contorni dei ruoli aziendali per i futuri business. Ma cosa significa attrezzarsi? Uno degli ostacoli principali resta quello della selezione, non tanto in fase di reclutamento quanto durante le fasi di riconoscimento. Il problema è che le regole per il riconoscimento sono fatte dagli uomini e per gli uomini.

In conclusione, sia i dati a disposizione quanto l’esempio esaminato del progetto “Bio to Bit”, confermano la tendenza a una sorta di ghettizzazione delle professionalità al femminile, escluse dai ruoli manageriali. Lo sbilanciamento è in particolar modo marcato in alcuni settori della conoscenza e quindi, di riflesso, in specifici ambiti produttivi. Di fatto sembra confermato che se nella fase di assunzione vengano presi in considerazione anche i profili professionali delle lavoratrici, esse sono poi escluse (oppure si auto escludono) dai posti di responsabilità nelle fasi successive.

Alcuni studiosi però indicano proprio nel migliore utilizzo delle capacità al femminile una delle azioni maggiormente promettenti al fine di migliorare le performance delle aziende e quindi anche la situazione economica, specialmente in periodi quale l’attuale, di forte crisi globale.
Occorre impegnarsi per un maggiore coinvolgimento delle donne nelle organizzazioni. L’Associazione Donne e Scienza, e nello specifico il sottogruppo di ricerca industriale, potrebbe sviluppare delle iniziative rivolte alle giovani ricercatrici a sostegno della loro carriera e della competizione con i colleghi maschi nelle organizzazioni aziendali.

 

Bibliografia

1. La Commissione Europea pubblicò nell’ottobre del 2003 la prima raccolta di dati “She Figures 2003”. L’attività tuttora prosegue, e analizza la presenza delle donne nel mondo scientifico

2. Fonte: Eurostat 2009 e sito Web EC: http://cordis.europa.eu/news/home_it.html

3. http://ec.europa.eu/research/science-society/index

4. Fonte: http://cordis.europa.eu/news/home_it.html

5.Il fattore D, di Maurizio Ferrera, Oscar Mondadori, 2008

6.“Woman matter1” e “Woman matter2” della McKinsey & Company, edizioni rispettivamente del 2007 e 2008

7. Alice H. Eagly, Mary C. Johannensen-Schmidt, Marloes L. van Engen. Transformational, Transactional and Laissez-Faire Leadership Styles, 2003.

8. E.Scaroni: Entrare in nuovi mercati attraverso l’innovazione, Sistemi e Impresa, Edizioni ESTE, Marzo, Aprile 2009

 

 

Le autrici dell'articolo - pubblicato sulla rivista "SAPERE" dell' APRILE 2010 - sono ricercatrici appartenenti allAssociazione Donne e Scienza che lavorano nella ricerca industriale.

 

24- Ottobre- 2011